venerdì 24 febbraio 2012

Trieste e i celti


sono numerose le tracce della cultura celtica a Trieste già il suo nome ( "tri" è un prefisso celtico sacro = 3 ) poi modificato in Ter ( che cominque sisgnifica 3 anche in latino ) , i castellieri ecc

per trovare tracce celtiche, per le più vicine bisogna salire verso i Tauri in Austria.

domenica 15 marzo 2009

Nozioni Storia I GM

Contrariamente a quel che il vasto pubblico crede, la prima guerra mondiale non fu vinta dall'Intesa per la superiorità industriale e numerica dell'Intesa e per l'irresistibile spinta all'autodeterminazione dei popoli della Duplice monarchia austro-ungarica. Questo è ciò che i vincitori hanno voluto far credere, così come hanno voluto far credere che la Germania, scatenando la guerra sottomarina indiscriminata ai danni delle navi alleate nel Nord Atlantico, si macchiò di un crimine unico nella storia, crimine che scontò con l'intervento in guerra degli Stati Uniti d'America che, quanto a loro, avrebbero ben preferito restarne fuori.

La realtà è diversa.

Nonostante la netta sproporzione delle forze in campo, già prima dell'intervento americano (258 milioni di abitanti con 5,7 milioni di soldati dell'Intesa contro 118 milioni di abitanti e 3,5 milioni di soldati degli Imperi Centrali), e nonostante il clamoroso errore tedesco che condusse all'insuccesso della Marna nel settembre 1914, nel complesso gli Austro-Tedeschi conservarono una netta superiorità strategica fino all'ultimo anno di guerra; ed è molto probabile che avrebbero potuto riportare una vittoria decisiva entro il 1917.

Ciò che li mise in ginocchio non furono la superiorità numerica e industriale dell'Intesa, ma il lento, progressivo, inesorabile strangolamento economico provocato dal blocco navale attuato dalla Gran Bretagna e dai suoi alleati fin dai primi giorni di guerra. I cereali, la carne e gli altri generi alimentari cominciarono a rarefarsi, tanto in Germania quanto in Austria-Ungheria, fin dalle prime settimane di guerra, insieme alle materie prime necessarie alla produzione di armi e munizioni, al combustibile per gli automezzi, per le navi e per il riscaldamento delle popolazioni, ai tessuti per fabbricare uniformi e coperte per l'esercito, e così via.

La penuria dei viveri e di altri generi di prima necessità, come il carbone - che lasciò al freddo, nel rigido inverno dell'Europa centrale, centoventi milioni di esseri umani -, provocò un rialzo dei prezzi che colpì con durezza inaudita il potere d'acquisto delle popolazioni, minò i loro risparmi bancari, fece scarseggiare i medicinali e perfino le bende, condannò alla denutrizione ed espose alle malattie gli abitanti delle città e delle zone industriali, provocando un'alta mortalità, specie fra gli organismi più deboli: quelli dei bambini e degli anziani.

Furono i disagi insopportabili, dovuti alla catastrofe economica, a minare la volontà di resistenza dei popoli degli Imperi Centrali. Fino al quarto inverno di guerra, nonostante gli immani sacrifici da essi sopportati, il loro morale era rimasto alto; ma, all'avvicinarsi del quinto inverno, essi fecero quello che aveva già fatto, primo di loro, il popolo russo: perdettero ogni fiducia nei propri governi e diedero vita a una serie di insurrezioni e di secessioni.

Fu in tal modo che l'Austria-Ungheria si disgregò irrimediabilmente e scomparve dalla carta d'Europa. Non è vero che il suo destino fosse già segnato, fin dall'inizio della guerra; se la guerra fosse stata breve - come tutti, allora, penavano, anche nel campo avverso - nulla lascia credere che il suo smembramento fosse inevitabile. Chi aveva pronosticato la rapida dissoluzione del suo esercito, specie dopo le prime sconfitte (in Galizia e in Serbia), a causa dell'infedeltà dell'elemento slavo, rimase totalmente deluso. L'esercito resse, compatto e disciplinato, sino alla fine: e perfino nell'ultima battaglia, quella di Vittorio Veneto, continuò a fare il proprio dovere, a protezione di un Impero che, alle sue spalle, già non esisteva più. Fu la ritirata, peraltro ordinata, di due divisioni ungheresi, decise a rientrare in patria per difendere i confini della Transleithania, che aprì la breccia fatale sul fronte italiano e determinò il crollo finale, consentendo la cattura di interi corpi d'armata nello spazio di pochissimi giorni.

Ma, fino a quel momento, l'esercito austro-ungherese aveva retto alla prova perfino meglio di quello germanico. Anche se episodi come la defezione del 28° reggimento di fanteria di Praga, sul fronte russo, gettarono un'ombra che colpì tutto l'esercito imperial-regio, la verità è che, nella guerra 1914-1918, le diserzioni furono percentualmente inferiori a quelle del tanto decantato esercito tedesco. È vero che si trattava, in questo caso, quasi sempre di soldati di origine alsaziana o polacca; però è significativo che le dieci diverse etnie che formavano l'armata dell'Impero asburgico sostennero la prova della guerra di trincea con maggiore saldezza del tanto più potente alleato germanico, che per esse nutriva un malcelato disprezzo.

Un discorso analogo si può fare per le popolazioni civili. Benché colpite, come si è detto, dai durissimi contraccolpi della guerra, nell'insieme esse rimasero fedeli alla monarchia attraverso sacrifici che avrebbero messo in crisi anche la nazione più compatta. Allo scoppio della guerra, solo un pugno di agitatori politici cechi e croati pensava seriamente a un distacco dei rispettivi popoli dalla Duplice monarchia, e quasi nessuno si poneva quale obiettivo Austria delenda. Uomini come il professor Thomas Masaryk non avevano quasi alcun seguito, tanto è vero che cercarono di mobilitare per la causa dell'indipendenza i loro connazionali che vivevano all'estero, specie negli Stati Uniti; e, soprattutto, di accaparrarsi l'amicizia dei maggiori consiglieri dei capi di governo alleati: Clemenceau, Wilson, Orlando e, soprattutto, Woodrow Wilson. Cosa che riuscì loro a meraviglia.

Ma i partiti politici dell'Austria-Ungheria e la stragrande maggioranza dei diversi popoli non condividevano tali sentimenti. I Masaryk, i Benes, i Trumbic e i Supilo non avevano quasi alcun seguito tra i loro connazionali, tranne quelli che vivevano all'estero e, più tardi, tra i prigionieri di guerra catturati sul fronte russo, specialmente dopo il grande sfondamento operato in Galizia dall'offensiva Brusilov del 1916 (cfr. Francesco Lamendola, La battaglia di Łuck, giugno-ottobre 1916, sul sito di Arianna Editrice).

Fu solo dopo il fallimento dell'ultima offensiva sul Grappa e lungo il Piave, nel giugno del 1918 (la cosiddetta battaglia del solstizio), che lo scoramento prese il sopravvento e spinse aliquote consistenti delle popolazioni non egemoni (essenzialmente, quelle slave) a far propri i famosi "14 punti" del presidente Wilson e a decretare, con ciò, l'inevitabile distruzione di quello Stato millenario., nonostante i disperati sforzi di riforma federalista del giovane imperatore Carlo, salito al trono alla fine del 1916, e già autore di alcuni sfortunati tentativi di concludere una pace separata di compromesso.

Nulla, tuttavia, consente di affermare che quella conclusione fosse inevitabile. Di fatto, in piena epoca dei nazionalismi esasperati e nel fuoco di un conflitto gigantesco, nato appunto dall'urto fra i diversi nazionalismi, si vide che uno Stato plurinazionale, che poggiava su un principio totalmente diverso da quello nazionale, ossia il principio dinastico, era stato in grado di affrontare e sostenere la lotta con la stessa saldezza e capacità di resistenza mostrate da antichi Stati-nazione, come la Francia o la Gran Bretagna.



E passiamo al tema della guerra sottomarina tedesca, che tanta esca fornì alla propaganda alleata nel dipingere i Tedeschi come barbari e spregiatori delle più elementari norme del diritto di guerra e, agli Stati Uniti, di dichiarare la guerra in veste di parte lesa, dopo l’affondamento del transatlantico Lusitania (come faranno, del resto, anche nel 1941, dopo l’attacco aeronavale giapponese di Pearl Hoarbour); e ciò nonostante il fatto che il Lusitania, trasportando materiale da guerra, appartenesse tecnicamente alla categoria degli “incrociatori ausiliari” e nonostante il fatto che l’ambasciatore tedesco a New York, nei giorni precedenti la partenza della nave, avesse fatto del suo meglio per scoraggiare i cittadini americani dall'imbarcarvisi, ricordando il rischio tremendo cui si sarebbero esposti.

Nessuno può negare che la guerra sottomarina sia stata una delle atroci novità della prima guerra mondiale, la quale, accanto all’uso delle armi chimiche (collaudato a Ypres, in Belgio, nel 1915) e ai bombardamenti aerei delle città (come quelli dei dirigibili Zeppelin sui cieli di Londra; ma, per il 1919, Churchill aveva già pronto un piano di bombardamento sistematico delle città tedesche, piano poi ripreso e attuato, con la massima crudeltà, nella seconda guerra mondiale), segnò un salto qualitativo nell’orrore della guerra tecnologica e di massa.

Al tempo stesso, però, non è storicamente corretto passare sotto silenzio, o minimizzare, la circostanza che la decisione dell’Alto Comando tedesco di procedere alla guerra sottomarina illimitata contro tutte le navi, anche neutrali, dirette verso i porti dell’Intesa, altro non era che la risposta a una decisione, ancor più spietata - perché coinvolgeva non singoli individui, come i marinai o i passeggeri delle navi alleate, ma l’intera popolazione dell’Europa centrale - presa dai vertici politico-militari della Gran Bretagna: quella di istituire il blocco totale del commercio marittimo da e per la Germania e l’Austria-Ungheria. Ciò significava, come abbiamo visto, condannare alla fame e, teoricamente, alla distruzione centinaia di milioni di esseri umani, donne e bambini compresi.

Ma come poté maturare una decisione di tale gravità, da parte dei dirigenti britannici che, il 4 agosto 1914, avevano dichiarato guerra al Reich in difesa della neutralità violata del poor little Belgium e, più in generale, per la libertà e i diritti dei popoli, minacciati dal militarismo e dall'assolutismo di Guglielmo II? E come poté la democratica Terza Repubblica francese; come poterono, soprattutto, gli Stati Uniti del democratico presidente Wilson, associarsi a una simile strategia, laddove uno dei principali fra i “14 punti” era precisamente quello che sanciva la libertà di navigazione e di commercio sui mari?

In effetti, come hanno osservato diversi storici, tra il 1914 e il 1918 vi fu una evoluzione delle ragioni politiche della guerra, in quanto tutti gli Stati belligeranti passarono dalla prospettiva di una guerra tradizionale, ossia mirante a raggiungere posizioni di vantaggio rispetto all’avversario (come la Germania rispetto all’Austria, nel 1866, o rispetto alla Francia, nel 1871), a una guerra totale, mirante cioè alla distruzione del nemico mediante una pace “cartaginese”, che lo eliminasse come potenziale concorrente per decenni o, magari, per secoli. Ciò fu reso inevitabile dalla mobilitazione di eserciti formati da milioni di riservisti e dagli enormi sacrifici imposti alle popolazioni da una guerra usurante e molto più lunga del previsto, perché sia l’una che l’altra cosa esigevano risarcimenti adeguati a ciò che si era sofferto.

In questo incrudelire della guerra e del suo concetto; in questo prevalere delle logiche militari, puramente distruttive, rispetto a quelle politiche, tendenti al ripristino di normali condizioni di esistenza anche per l’avversario sconfitto, sta la prima radice dell’imbarbarimento, di cui il blocco marittimo totale degli Imperi Centrali fu una manifestazione, e la guerra sottomarina indiscriminata una inevitabile ritorsione.

La guerra, nel 1914, era stata accolta quasi ovunque - a Parigi come a Berlino, a Vienna come a Pietroburgo - da entusiastiche manifestazioni belliciste, perché, nell’immaginario collettivo, perdurava il mito della guerra romantica, con le sciabole sguainate e le bandiere al vento. Nessuno prevedeva che essa sarebbe durata quasi quattro anni e mezzo; che sarebbe divenuta guerra di posizione e di usura; che avrebbe assunto caratteri “industriali”, ove gli uomini, al pari dei materiali, sarebbero stati gettati nella fornace come semplice “carne da cannone”; che lealtà ed eroismo sarebbero divenute parole prive di senso, in un contesto ove il binomio filo spinato-mitragliatrice consentiva di uccidere decine di migliaia di esseri umani al giorno, in certi casi senza che i due avversari venissero neppure a contatto fisico.

giovedì 19 febbraio 2009

Preoccupante segnalazione

da Il Piccolo del 21 nov 2006 :
pag 30
Rubrica "Segnalazioni"


"Burlo, Trieste dienterà un Borgo"

Lunedì 13.11 sulle Segnalazioni è stata pubblicata una interessante lettera a firma della signora C.P. Mi hamolto colpito la parte finale di questa lettera, nella quale la signora con molta sicurezza econoscenza dei fatti riportava quanto dichiarato da un politico friulano negli anni '80 : "Abbiamo l'ordine da Roma di far diventare Trieste un borgo di pescatori".
Se la signoraha fatto un errore o ha equivocato il tutto, sono certo che lo ha fatto in buona fede e l'incidente si può tranquillamente chiudere qui, ma se quanto scritto corrisponde a verità, siamo di fronte a un fatto di estrema gravità che, anche a distanza di anni, andrebbe indagato e approfondito. In altre città dopo un simile fatto sarebbe caduta la giunta regionale. Se a subire tale torto fosse stata Udine, come minimo sarebbe caduto il governo romano.
Ma visto che chi ci rimetteva era Trieste.. tutto va bene madama la marchesa. Io invece vorrei sapere chi era quell'assessore regionale che ha fatto tale dichiarazione, in quale circostanza, in che veste, se in modo ironico o serio, chi era il presidente del consiglio, chi era colui che ha impartito tale ordiine, ma soprattutto vorrei sapere se tale ordine è tutt'ora valido.
Dalle cose che leggiamo sui giornali tuttii giorni si direbbe proprio di si.
I triestini però devono essere informati seriamente e iin maniera ufficiale e se esiste ancora un complotto a danno della città deve essere fatta piena luce.
Chiedo che Il Piccolo si attivi in questo e informi i cittadini di quello che sta realmente succedendo, anche se la verità può essere scomoda ai molti.

F.M.

( i nomi da tsm, sono volutamente indicati dalle sole iniziali)

lunedì 5 gennaio 2009

L'eco del Litorale, edizione di Vienna A XLIV n. 1 mart 8.6.1918


Messaggio dell' Imperatore Francesco Giuseppe I, e commento della redazione alla dichiarazione di Guerra all' Austria, con la quale l'Italia infrange unilateralmente la Triplice Alleanza. I testi sono integralmente riportati nei post sottostanti.

si ringrazia l'associazione Mitteleuropa.

mercoledì 31 dicembre 2008

Messaggio di Sua Altezza l'Imperatore Francesco Giuseppe I in merito alla dichiarazione di Guerra da parte dell' Italia

L’Eco del Litorale
Edizione di Vienna
Martedì 8 giugno 1915

Come è scoppiata ala guerra coll’Italia
Il Manifesto imperiale

Ai miei Popoli !

Il Re d’Italia mi ha dichiarato la guerra.
Una fellonia, di cui la storia non conosce l’eguale, venne perpetrata dal Regno d’Italia verso i suoi due alleati.
Dopo una alleanza di più di trenta anni, durante la quale essa potè aumentare il proprio possesso territoriale e assorgere a insperata prosperità, l’Italia Ci abbandonò nell’ora del pericolo e passò a bandiere spiegate al campo dei Nostri nemici.

Noi non minacciammo l’Italia, non diminuimmo il di Lei prestigio, non toccammo il suo onore né i suoi interessi. Noi adempimmo sempre fedelmente ai Nostri doveri d’alleati e le fummo di scudo, quando essa entrò in campo.
Facemmo di più : Quando l’Italia rivolse i suoi cupidi sguardi oltre i Nostri confini, eravamo decisi, nell’intento di conservare l’alleanza e la pace, a gravi e dolorosi sacrifici, sacrifici questi che particolarmente affliggevano il Nostro cuore paterno.
Ma la cupidigia dell’Italia, la quale credeva di dovere sfruttare il momento, era insaziabile.
E cos’ì la sorte deve coprirsi.

Contro il possente nemico al Nord, la Mia armata fece vittoriosa difesa di una gigantesca lotta di dieci mesi, stretta in fedele fratellanza d’armi con gli eserciti del Mio augusto alleato.
Il nostro perfido nemico al Sud non è per essa un nuovo avversario.
Le grandi memorie di Novara, Mortasa, Cuslozza e Lissa, che formano l’orgoglio della Mia gioventù, e lo spirito di Radezky, dell’Arciduca Alberto e di Tegelihoff, il quale continua a vivere nella Mia armata di terra e di mare, Mi danno sicuro affidamento che difenderemo vittoriosamente canche i confini meridionali della Monarchia.

Io saluto le Mie truppe, ferme nella lotta, abituate alla vittoria : confido in loro e nei loro duci. Confido nei Miei popoli al cui spirito di sacrificio senza pari vanno i Miei più sentiti paterni ringraziamenti.
All’ Altissimo rivolgo la preghiera che Egli benedica le Nostre bandiere e prenda la Nostra giusta causa sotto la sua clemente custodia.

Vienna, 23 maggio 1915

Francesco Giuseppe m.p. ( Francesco Giuseppe I 1848 > 1916 )

a Lui successero :

Carlo I imperatore d'Austria ( regno : 1916 - 1918 )
re Carlo IV d'Ungheria - a volte indicato come "Carlo". Morì in esilio nel 1922.

Attuali eredi di Casa Asburgo :

*Otto d'Asburgo-Lorena ( 1912)
ultimo erede al trono d'Austria dal 1916 al 1918,
divenne Capo della Casa d'Asburgo-Lorena nel 1922 alla morte del padre Carlo I, Imperatore d'Austria e Re Apostolico d'Ungheria.

*Carlo d'Asburgo-Lorena (1961) Capo della Casa d'Asburgo dal luglio 2007

Dichiarazione di Guerra dell' Italia

L’Eco del Litorale
Edizione di Vienna
Martedì 8 giugno 1915

La dichiarazione di guerra dell’ Italia all’Austria
Traduzione dal testo francese

“Al 4 maggio na.c. furono notificati all’ i.e.r. Governo i gravi motivi pei quali l’Italia fidando nel suo buon diritto ha dichiarato nullo e d’ora in poi inefficace il suo trattato d’alleanza coll’Austria-Ungheria, il quale era stato violato dall’ i.e.r. governo, e ha riacquisito in questo riguardo la sua piena libertà d’azione.

Fermamente decisa di aver cura con tutti i mezzi dei quali dispone della tutela dei diritti e interessi italiani, il governo reale non può sottrarsi al suo dovere, di prendere contro ogni presente e futura minaccia quelle misure che gli avvenimenti le impongono allo scopo di realizzare le aspirazioni nazionali. Sua Maestà il re dichiara che da domani in poi egli si considera in stato di guerra coll’Austria-Ungheria”

Questa nota fu consegnata dall’ ambasciatore d’Italia Duca d’Avama al Ministro degli esteri conte Burian , domenica 23 maggio alle ore 3 ¼ pom.
Verso le 7 della sera stessa fogli speciali pubblicarono il manifesto dell’ Imperatore , che più sopra abbiamo riportato.



La nota dell’Italia del 4 maggio

La dichiarazione di guerra è vuota: non adduce motivi, si richiama a una nota anteriore colla quale l’Italia volle prendersi piena libertà d’azione ; del passaggio dalla libertà d’azione all’ aggressione armata non c’è che l’accenno a “misure che gli avvenimenti impongono” e a possibili “minacce future”. Dalla nota del 4 maggio, del pari impacciata e inconcludente tagliamo i punti più importanti :
“..l’alleanza tra l’Italia e l’Austria-Ungheria era ideata da bel principio come un elemento e una garanzia per la pace e aveva il suo scopo principale della comune difesa”
fa seguito di fronte a posteriori avvenimenti e alla nuova situazione i governi dovettero prendere di mira un altro scopo non meno importante e si sono studiati, nei successivi rinnovamenti dell’alleanza, di assicurarne la continuazione col fissare la massima dell’ accordo preventivo per i Balcani , affine di conciliare gli interessi e le tendenze divergenti delle due potenze” ( Omissis)
“L’Austria-Ungheria invece intimò nel corso dell’ estate 1914, senza previo accordo coll’Italia, anzi senza farne il minimo accenno e senza tener conto dei consigli di moderazione del governo italiano, un ultimatum alla Serbia addì 23 luglio, il quale fu la causa e l’origine dell’ attuale conflagrazione europea”.

“Ragione e sentimento sono contrari alla conservazione d’una benevola neutralità, quando uno degli alleati ricorre alle armi per realizzare un programma che è diametralmente opposto ai vitali interessi dell’altro alleato”.
“Il governo italiano era pronto di accettare un accordo, che avesse per base una modesta soddisfazione delle giuste aspirazioni nazionali dell’ Italia, e che servisse a diminuire la disuguaglianza nella reciproca posizione dei due Stati coll’Adriatico”.
“Tutte le premure del governo reale trovarono l’opposizione dell’ i.e.r. governo…”
“In teli circostanze il governo italiano si trovò costretto di rinunciare alla speranza d’un accordo e di ritirare le sue proposte”.
“Fidente nel suo buon diritto l’Italia dichiara perciò, che d’ora in poi, essa considera il trattato d’alleanza coll’Austria-Ungheria come decaduto e d’ora in poi inefficace”.

Analisi dichiarazione di guerra

L’Eco del Litorale
Edizione di Vienna
Martedì 8 giugno 1915

La dichiarazione di guerra dell’ Italia all’Austria
Traduzione dal testo francese

“Al 4 maggio na.c. furono notificati all’ i.e.r. Governo i gravi motivi pei quali l’Italia fidando nel suo buon diritto ha dichiarato nullo e d’ora in poi inefficace il suo trattato d’alleanza coll’Austria-Ungheria, il quale era stato violato dall’ i.e.r. governo, e ha riacquisito in questo riguardo la sua piena libertà d’azione.

Fermamente decisa di aver cura con tutti i mezzi dei quali dispone della tutela dei diritti e interessi italiani, il governo reale non può sottrarsi al suo dovere, di prendere contro ogni presente e futura minaccia quelle misure che gli avvenimenti le impongono allo scopo di realizzare le aspirazioni nazionali. Sua Maestà il re dichiara che da domani in poi egli si considera in stato di guerra coll’Austria-Ungheria”

Questa nota fu consegnata dall’ ambasciatore d’Italia Duca d’Avama al Ministro degli esteri conte Burian , domenica 23 maggio alle ore 3 ¼ pom.
Verso le 7 della sera stessa fogli speciali pubblicarono il manifesto dell’ Imperatore , che più sopra abbiamo riportato.



La nota dell’Italia del 4 maggio

La dichiarazione di guerra è vuota: non adduce motivi, si richiama a una nota anteriore colla quale l’Italia volle prendersi piena libertà d’azione ; del passaggio dalla libertà d’azione all’ aggressione armata non c’è che l’accenno a “misure che gli avvenimenti impongono” e a possibili “minacce future”. Dalla nota del 4 maggio, del pari impacciata e inconcludente tagliamo i punti più importanti :
“..l’alleanza tra l’Italia e l’Austria-Ungheria era ideata da bel principio come un elemento e una garanzia per la pace e aveva il suo scopo principale della comune difesa”
fa seguito di fronte a posteriori avvenimenti e alla nuova situazione i governi dovettero prendere di mira un altro scopo non meno importante e si sono studiati, nei successivi rinnovamenti dell’alleanza, di assicurarne la continuazione col fissare la massima dell’ accordo preventivo per i Balcani , affine di conciliare gli interessi e le tendenze divergenti delle due potenze” ( Omissis)
“L’Austria-Ungheria invece intimò nel corso dell’ estate 1914, senza previo accordo coll’Italia, anzi senza farne il minimo accenno e senza tener conto dei consigli di moderazione del governo italiano, un ultimatum alla Serbia addì 23 luglio, il quale fu la causa e l’origine dell’ attuale conflagrazione europea”.

“Ragione e sentimento sono contrari alla conservazione d’una benevola neutralità, quando uno degli alleati ricorre alle armi per realizzare un programma che è diametralmente opposto ai vitali interessi dell’altro alleato”.
“Il governo italiano era pronto di accettare un accordo, che avesse per base una modesta soddisfazione delle giuste aspirazioni nazionali dell’ Italia, e che servisse a diminuire la disuguaglianza nella reciproca posizione dei due Stati coll’Adriatico”.
“Tutte le premure del governo reale trovarono l’opposizione dell’ i.e.r. governo…”
“In teli circostanze il governo italiano si trovò costretto di rinunciare alla speranza d’un accordo e di ritirare le sue proposte”.
“Fidente nel suo buon diritto l’Italia dichiara perciò, che d’ora in poi, essa considera il trattato d’alleanza coll’Austria-Ungheria come decaduto e d’ora in poi inefficace”.